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Il pianista e la paura del pubblico

Come prepararsi alla performance e prevenire i vuoti di memoria

Il libro Il pianista e la paura del pubblicoè una raccolta e un approfondimento degli articoli più letti dagli utenti. Se vuoi approfondire questo articolo e gli argomenti principali di questo sito, quali l’ansia da palcoscenico, la paura di suonare in pubblico, le tecniche di memorizzazione musicale, la sicurezza in se stessi e la solidità tecnica clicca qui sotto.

Nell’articolo  La “caduta libera” sui tasti. Serve? Non serve? Se si, a cosa? ho consigliato di studiare al pianoforte i passaggi difficili con le cadute.

Ho detto di studiare con le cadute anche quei passaggi tecnici che poi in esecuzione non verranno eseguiti con le cadute, proprio per via della velocità troppo elevata la quale non permetterebbe al pianista di alzare e lasciar cadere il braccio così velocemente tanto quanto richiesto dal compositore.

In poche righe vorrei approfondire questa tecnica che ritengo di fondamentale importanza.

Ritengo che possa essere uno strumento in più a disposizione per il pianista, il quale potrà optare di utilizzarlo o meno.

Io, personalmente, adotto questa tecnica e la faccio sempre adottare ai miei allievi con ottimi risultati.

Come studiare al pianoforte i passaggi difficili con le cadute?

Prendiamo come esempio lo studio di Chopin Op. 10 n. 2 in La minore. E’ uno studio che senza dubbio è di elevata difficoltà.

Perchè l’esecuzione di questo studio è così difficile?

Senza dilungarmi, ritengo che la difficoltà di questo studio inizi ad esistere nel momento in cui si accelera nell’esecuzione.

Fino alla velocità di metronomo di circa 116 al quarto, il brano si esegue senza troppi ostacoli. Il problema, come molti possono immaginare, è avvicinarsi il più possibile alla velocità richiesta da Chopin, ben oltre i 116 al quarto.

Ciò che ostacola l’accelerazione di questo studio è l’azione insufficiente delle dita (in questo caso del terzo, quarto e quinto dito) della mano destra: cioè non sono abbastanza forti e veloci. 

In breve, non essendo le dita sufficientemente preparate all’agilità richiesta dallo studio tendono a richiedere aiuto alla mano (come avviene nel 90% dei casi), la quale purtroppo in questo caso è bloccata (non per caso) dal bicordo interno.

Il risultato garantito è l’irrigidimento dell’avambraccio, della mano e di conseguenza delle dita. In questo modo, o si cambia metodo di studio o si cambia repertorio.

Allora come studiare? Qual’è l’alternativa?

L’alternativa è quella di rendere le dita forti e agili. 

Rendere AGILI le dita

Per dita agili” si intende dita scattanti, quindi veloci! Le dita possono essere veloci se intorno a loro i muscoli sono del tutto sciolti.

Con la mano tesa e l’avambraccio teso le dita si bloccano. Ecco perchè il rilassamento muscolare è tanto importante (in merito a questo argomento, vi consiglio di leggere l’articolo Rilassamento muscolare? Tre consigli pratici del didatta russo H. Neuhaus).

Le cadute, dal punto di vista muscolare, sono utilissime. Quando effettuiamo le cadute, ci sforziamo di essere totalmente rilassati. Non potremmo effettuare delle cadute ben fatte sui tasti se non lasciamo cadere liberamente il braccio sui tasti. L’efficacia di una caduta controllata o rallentata sulla tastiera sarebbe nulla.

Quindi le cadute, per questo motivo, servono a rilassare l’arto.

  • Se effettuiamo la caduta con l’intero braccio, rilasseremo i muscoli del braccio e l’articolazione della spalla;
  • Se effettuiamo la caduta con l’avambraccio, rilasseremo i muscoli dell’avambraccio e l’articolazione del gomito;
  • Se effettuiamo la caduta con la sola mano, rilasseremo i muscoli della mano e l’articolazione del polso;

Il risultato di questo esercizio è che l’azione delle dita sarà molto agile e veloce, grazie al rilassamento graduale del braccio. 

Rendere FORTI le dita

Torniamo allo studio di Chopin.

Abbiamo detto che è necessario avere dita molto forti. Infatti, oltre ad essere veloci, le dita devono anche rinforzarsi sulle note del brano.

Il quarto e il quinto sono le due dita più deboli della mano, eppure in questo studio sono le protagoniste; inoltre non possono contare sul supporto della mano o del braccio (tanti pianisti, a volte senza accorgersene, ricorrono all’aiuto del braccio non riuscendo a suonare tutto solo con le dita stesse: il risultato in genere non è buono).

C’è bisogno quindi di rinforzarle.

Come rinforzare le dita allo scopo di studiare un nuovo brano?

Con le cadute.

Il procedimento è molto semplice, ma richiede molta pazienza. Vi posso garantire che noterete grandi risultati dopo averlo compiuto.

Questa tecnica si basa sull’esecuzione molto lenta del brano suonando tutte le note con le cadute. Ovviamente il brano non verrà eseguito a velocità con le cadute, sarebbe evidentemente impossibile; tuttavia ne è molto utile lo studio.

Suddividete il vostro studio in tre fasi:

  • Durante la prima fase eseguite lo studio cadendo sulle note della mano destra effettuando delle cadute di braccio. Cioè tenendo il braccio in posizione naturale, lo alzate di una decina di centimetri (come se il vostro braccio fosse il braccio di un gru) e lo lasciate liberamente cadere (“come corpo morte cade”) sul tasto desiderato, col dito esatto. Fatto questo, rimanendo dentro al tasto, cercate di consapevolizzare il massimo livello di rilassamento del braccio. Poi, riportate su il braccio e lasciatelo ricadere sulla seconda nota; riassicuratevi di essere rilassati e andate avanti lentamente ma a sempre a tempo.

 

  • Successivamente, effettuate lo stesso identico studio con cadute di avambraccio, utilizzando cioè l’articolazione del gomito. Il gomito deve naturalmente penzolare dalla spalla. Tirate su la mano con l’avambraccio (mantenendo uguale l’angolazione tra l’avambraccio e il dorso della mano) e lasciatela cadere sul tasto desiderato con il dito scritto in diteggiatura. Una volta abbassato il tasto rilassatevi. Ripetete lo stesso procedimento sul secondo tasto e così via.

 

  • L’ultima fase si effettua con cadutine di mano. Cioè a braccio fermo e polso fermo, portate su la mano (come se un filo immaginario portasse su le nocche delle dita) e lasciatela cadere liberamente sul tasto desiderato con il dito esatto. E andate avanti.

Come utilizzare il metronomo?

Questo procedimento va effettuato gradualmente da lento a veloce.

Le cadute di braccio possono essere eseguite solo molto lentamente, poi accelerate di qualche tacca di metronomo.

Dopo avere accelerato le cadute di braccio sentirete l’esigenza naturale di cadere solo con l’avambraccio. Quindi eseguite lo studio per qualche volta accelerando sempre gradualmente di 2-3 tacche alla volta.

Raggiunta una velocità media, sentirete di nuovo la naturale esigenza ad eseguire le cadute solo con la mano. Accelerando quest’ultima tecnica l’altezza delle dita dai tasti si ridurrà sempre di più.

Più la velocità aumenta, più l’altezza dai tasti si riduce.

Siete arrivati al punto in cui potete studiare lo studio come avreste fatto se non aveste preso in considerazione lo studio delle cadute.

Quindi procedete cercando di far scattare le dita il più velocemente possibile, ma facendo la massima attenzione a non irrigidire la mano e il braccio.

L’obiettivo della tecnica delle cadute è quello di rinforzare le dita rilassando nello stesso momento il braccio.  

Fatto questo, con la massima agilità, massimo rilassamento, precisione ritmica maniacale e dita velocissime Ripetete, ripetete, ripetete!

Nicolò De Maria

 

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

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Della caduta libera al pianoforte abbiamo sentito parlare molte volte. E’ un argomento che è stato discusso e ridiscusso. Ma è veramente chiaro a cosa serve, come e quando si utilizza? 

Dico questo perchè sono molte le opinioni in merito e a volte sembrano anche essere discordanti. Ciò fa immaginare che forse non esiste un parere univoco, uguale per tutti.

Dalla teoria alla pratica

Cerchiamo intanto di capire cos’è e perchè esiste, qual’è il principio che sta alla base del suo utilizzo.

I primi tecnologi che presero in esame le diverse possibilità di usare il braccio nel gioco pianistico osservarono che la forza muscolare impiegata per abbassare i tasti poteva essere sostituita dal peso delle diverse leve del braccio che, lasciate cadere, avrebbero potuto sfruttare la forza gravitazionale rendendo inutile l’intervento della forza muscolare e realizzare così un consistente risparmio energetico.

Quindi il principio fondamentale è quello di lasciare che il braccio cada sui tasti (e quindi produca un suono) grazie all’effetto della forza di gravità e non attraverso l’energia muscolare delle dita, risparmiando così molte energie.

Ma è veramente così semplice? E’ tutto qui? Per niente!

Possiamo utilizzarla in qualunque momento e per qualunque tipo di passaggio? Assolutamente no!

Alcune considerazioni: Neuhaus, Sandor e Chang

Vi cito alcune considerazioni tratte da alcuni testi degli autori sopra citati così da avere un’idea di alcune delle diverse opinioni sulla caduta libera al pianoforte.

H. Neuhaus: 

 “E’ utile ricordarsi che quanto maggiore è la distanza H (H sta per altezza) tra la mano e la tastiera, tanto minore è la necessità di pressione sul tasto; essa è, in effetti, ridotta a zero.

Al contrario, riducendo H al minimo… è necessario appoggiarsi più vigorosamente sul tasto.”

Neuhaus parla solo dell’altezza dalla tastiera, intesa come fattore che unicamente influenza la relativa forza muscolare da aggiungere o meno alla caduta gravitazionale.

Parlerò dopo di un altro fattore molto importante che riguarda le leve e le sezioni delle leve degli arti superiori (braccio, avambraccio, mano, dita, falangi).

G. Sandor:

“La forza di gravità agisce secondo le proprie leggi, e se non le si dà il tempo e lo spazio necessario per produrre una data accelerazione, la caduta libera potrà anche non fornire la velocità che ci occorre […] Pertanto la caduta libera può essere usata soltanto in passaggi non troppo veloci.

Ad esempio, la mano sinistra nello studio Op. 10 n. 1 di Chopin […] sono momenti ideali per l’applicazione della caduta libera.”

Viene quasi da ridere se pensiamo che, nel caso dello studio sopra citato, la caduta libera (che tanto dovrebbe aiutare il pianista a risparmiare una mole maggiore possibile di energia muscolare) proprio nei passaggi  più difficili,  venga utilizzata solo per la mano sinistra.

Senza dubbio è vantaggioso suonare le ottave alla mano sinistra con la caduta, ma il suo campo d’azione è veramente così ristretto?

Mi viene in mente uno studio esemplare nel quale la caduta può veramente essere d’aiuto al pianista. Si tratta dello studio di Chopin op. 25 n. 12, dove l’interpretare deve suonare f la prima nota di ogni battuta.

Scenderò nel dettaglio dei vantaggi della caduta libera tra un attimo, tuttavia, dando una sbirciata allo studio è subito evidente in che modo viene sfruttata la forza gravitazionale a favore di un grosso risparmio di energia muscolare.

Chuan C. Chang:

La caduta di un peso avviene in costante accelerazione e la mano sta accelerando, anche durante l’abbassarsi del tasto. Alla fine, la mano rimane sui tasti con il proprio peso – quest’azione è ciò che produce un piacevole, profondo, timbro.

Notate che [per quanto riguarda] l’abbassamento del tasto è importante che ciò avvenga in progressiva accelerazione”.

Chang sembra sostenere che la qualità timbrica della libera caduta è prodotta dal movimento in accelerazione impresso al tasto.

Quindi, durante la caduta, si faccia attenzione a continuare ad accelerare così da ottenere un bel suono.(Non capisco, a me sembra che l’effetto finale sia opposto).

Se io penso ad accelerare questo produrrà forse un movimento innaturale? Dovrei spingere più del dovuto?

Quando cadi, cadi liberamente. Nè si trattiene e nemmeno si spinge per accelerare!

G. Sandor invece ritiene che la qualità del suono prodotto con la libera caduta è determinata dall’azione delle…

“…articolazioni delle dita, del polso, della mano le quali devono essere sciolte, rispondenti, elastiche. Devono fungere da ammortizzatori durante la discesa delle dita sulla tastiera onde eliminare la bruschezza dell’impatto, […].

Se tutte le articolazioni… sono elastiche, la qualità del suono avrà quella cantabilità che desideriamo”.

Come vediamo, sono tante le considerazioni in merito a come si debba effettuare e a cosa serva la caduta libera al pianoforte.

Conclusioni

Questa è la parte più difficile di questo argomento, perchè ogni pianista deve tirare le somme.

Leggere, ascoltare, prendere in considerazione le opinioni dei grandi didatti è senza dubbio utlie, ma poi, nell’intimità della propria stanzetta, siamo noi che dobbiamo trovare la strada maestra che ci permette di risparmiare energie preziose grazie alla forza di gravità.

Abbiamo letto solo alcune delle opinioni in merito, ma dobbiamo comunque prendere una decisione: la caduta libera serve a qualcosa? Come si effettua? Che suono produce?

Tenendo presente che ogni pianista sviluppa un proprio modo di utilizzare la caduta, io, sulla base della mia esperienza, vi condivido cosa penso.

La mia opinione

Credo che, in generale, i fattori che più contano nell’utilizzo della caduta libera siano due: l’altezza e la leva utilizzata.

Per altezza sappiamo già cosa intendiamo (ce ne ha parlato Neuhaus): più alziamo la mano dalla tastiera più la caduta prenderà velocità; la velocità finale di attacco del tasto sarà maggiore e il suono prodotto sarà più forte e violento. 

Quindi variando l’altezza della mano dalla tastiera, varierà anche il suono che emetteremo al pianoforte.

Invece più cadiamo dal basso più il suono sarà dolce e piano.

E se voglio produrre un suono forte e dolce? Credo che sia difficilissimo produrre un suono dolce e forte cadendo dall’alto senza irrigidire il braccio (l’irrigidimento potrebbe essere causato dalla volontà del pianista a fine corsa di rallentare la caduta e ammortizzare il colpo).

Come fare allora?

Ci viene in aiuto la leva che decidiamo di utilizzare. Per leva si intende la porzione di braccio che utilizziamo. Se ne parla molto poco, tuttavia, possiamo effettuare una caduta libera sul pianoforte in diversi modi:

  • con tutto il braccio utilizzando l’articolazione della spalla;
  • con l’avambraccio utilizzando l’articolazione del gomito;
  • con la sola mano utilizzando l’articolazione del polso. 

Detto questo, è subito chiaro che la forza della caduta è soggetta al peso dell’oggetto che cade. Quindi più è pesante l’oggetto maggiore sarà l’accelerazione e la velocità finale.

Nel caso del pianista: la caduta di mano provoca un attacco molto più dolce rispetto alla caduta dell’intero braccio che vanta un peso nettamente maggiore, poichè la mano essendo più leggera del braccio raggiungerebbe un’accelerazione inferiore.

Quindi, per concludere, possiamo decidere che suono produrre grazie alla combinazione di questi due fattori (ce ne sarebbero altri in effetti, ma questi a mio parere sono quelli principali).

Variando altezza e leva utilizzata possiamo produrre suoni piano e dolci, forti e dolci, forti e “accentati”.

Altri vantaggi della caduta libera al pianoforte?

Oltre a quelli sopra citati, la caduta libera è utile per altri due motivi molto pratici:

Primo motivo:

(Desiderate lavorare sul rilassamento muscolare? Volete fare attenzione al rilassamento totale del proprio corpo durante un’esecuzione? Per approfondire questo argomento vi consiglio di leggere l’articolo Rilassamento muscolare? Tre consigli pratici del didatta russo H. Neuhaus ).

La caduta è utilissima sia a risvegliare l’arto al mattino sia a rilassarlo.

La caduta esige un rilassamento totale dell’arto, altrimenti non potrebbe definirsi “libera”.

Quindi, il mio consiglio è di studiare i passaggi tecnici anche con le cadute e permettere che il braccio si rilassi del tutto.

  • Nel caso dello studio op. 25 n. 12, citato in alto (ma anche dell’op. 10 n. 1), la caduta, in fase di studio lento, può essere applicata a tutte le note degli arpeggi.

 

  • Succederà poi che, accelerando, l’altezza della mano dai tasti si abbasserà gradualmente fino a non permetterle più di effettuare le cadute.

 

  • All’aumentare della velocità le cadute scompariranno naturalmente e le dita articoleranno sempre di più.

 

  • Infine potrete effettuare le cadute solo sulla prima nota dell’arpeggio.

 

  • Le altre note andranno eseguite legate solo con le dita.

 

Secondo motivo:

Un’altra ragione per la quale consiglio di studiare con le cadute è che quest’ultime rinforzano le dita. 

Infatti cadendo sui tasti le dita dovranno sostenere il peso dell’arto o della porzione di esso che cade. Per sostenere questo peso il dito sarà costretto a resistere alla caduta al fine di non essere schiacciato, compiendo un’azione opposta.

Questo esercizio equivale a suonare i tasti con un’articolazione velocissima e potentissima, come se il dito avesse la forza del braccio o dell’avambraccio.

Il risultato “garantito” è che le dita si rinforzano in pochissimo tempo. 

Come detto poco fa, consiglio di studiare interamente i passaggi difficili con le cadute. Anche se in esecuzione non suonerete con le cadute, studiate con le cadute!

Quindi, nella pratica, studiate molto lentamente il passaggio tecnico cadendo su tutte le note del passo ad altezza media (nè troppo vicini ai tasti, nè troppo lontani) con tutte le leve: prima con la caduta di braccio (rilasserà la spalla), poi con caduta di avambracccio (rilasserà il gomito), poi con caduta di mano (rilasserà il polso). Infine accelerate gradualmente e le piccole cadutine si trasformeranno in articolazione di dito, sempre più veloce e sempre più legato.

Il risultato? Dita molto più forti e mano preparata e stabile!

Ogni volta che il braccio cade con tutto il suo peso sulla tastiera, è il singolo dito a dover reggerne il peso con un conseguente sforzo muscolare (del singolo dito, ovviamente).

Il dito si rinforzerà in pochissimo tempo!

Provate e fatemi sapere! Ci vorrà del tempo, ma i risultati sono garantiti.

Nicolò De Maria

Bibliografia:

Gardi, N. (2008). Il biano e il nero. Varese: Zecchini Editore.

Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

Sandor, G. (1984). Come si suona il pianoforte. Milano: Rizzoli Editore.

Chang, C. C. (2004). Foundamentals of piano practice. New York: Colts Neck.

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

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