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Come fare lezione di pianoforte?

Durante la lettura del capitolo sul suono del libro di Heinrich Neuhaus “L’ Arte del Pianoforte”, mi sono imbattuto in alcune righe che hanno subito attirato la mia attenzione e che penso possano tornare utili ad alcuni pianisti che regolarmente effettuano lezioni di pianoforte.

Sono molto semplici, applicabili sin da subito ed esplicative su come Neuhaus organizzava il tempo delle sue lezioni di pianoforte.

Neuhaus racconta come organizzava il tempo della lezione di pianoforte:

“Nelle mie lezioni, lo dico senza esagerazione, per tre quarti il lavoro è dedicato al suono.

La sequenza e il legame casuale (gerarchico) tra le fasi del lavoro sono disposti in questo modo:

prima viene lo specifico artistico, cioè il senso, il contenuto, l’espressione, l’argomento, di cui si parla;

in secondo luogo viene il suono nel tempo (ovvero, il lavoro sul tempo-suono, visto che il ritmo e il suono sono inseparabili uno dall’altro), cioè la definizione, la materializzazione di uno specifico; 

infine, in terzo luogo, viene la tecnica nel suo complesso come totalità di mezzi necessari alla soluzione di un obiettivo artistico, il suono al pianoforte come tale, cioè la padronanza del proprio apparato motorio-muscolare e del meccanismo dello strumento.

Questo è lo schema generale delle mie lezioni. […] Nella pratica, certo, questo schema oscilla continuamente, fluttua secondo le esigenze, le necessità del momento e secondo i casi concreti […].”

Cosa dedurne? Alcune considerazioni

Puoi approfondire questo argomento leggendo i seguenti articoli: Un allievo suona in modo del tutto arbitrario? Da dove iniziare?Come effettuare una onorevole lezione di pianoforte?

Riconosciamo quanto siamo lontani da questo modo di fare lezione di pianoforte?

Riconosciamo anche che la realtà spesso è molto differente dalle situazioni ideali raccontate dal celebre didatta russo.

Tuttavia, è sempre utile prenderne spunto e rifletterci su. La tecnica è messa all’ultimo posto, forse perchè aveva allievi già preparati tecnicamente?

Prima di tutto il “suono”, lo “specifico artistico”, l’anima del brano. 

Per fare una buona lezione di pianoforte serve flessibilità: ritengo che bisogna affrontare prima gli errori più gravi ed importanti senza mai perdere però di vista lo “specifico artistico”. Parlare solo di tecnica, note e tempo impeccabile può condurre ad esecuzioni noiose.

La lezione di pianoforte deve appassionare, stimolare la motivazione del pianista e alimentare l’amore per la musica. 

Neuhaus partiva da questo: l’amore per il modello, per il capolavoro musicale.

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

Come motivare i nostri allievi di pianoforte?

Quante volte ci è capitato di dover fare lezione ad allievi che a casa non studiano? Quante volte ci siamo sforzati di trasmettere la nostra passione ad allievi che in maniera evidente non esprimono piacere nel suonare il pianoforte?

 

Possiamo dire che, generalmente, i motivi che incidono negativamente sulla motivazione degli allievi a studiare sono tre: 

  1. Motivazione estrinseca
  2. Obiettivi troppo ambiziosi che non permettono il raggiungimento di risultati a breve termine. 
  3. Manca lo “specifico artistico”.

Se manca la motivazione, i nostri studenti avranno tutte le ragioni per non studiare

Credo che in tanti ci siamo trovati di fronte a studenti con un bassissimo livello motivazionale. Spesso spinti a far musica da una motivazione estrinseca, ovvero proveniente da un desiderio altrui (la mamma, la zia, la nonna o una ricompensa). Prima di tutto, sarebbe un buon punto di partenza assicurarci che l’allievo voglia veramente studiare il pianoforte. Che sappia a cosa va incontro, che dovrà studiare e fare piccoli sacrifici che pian piano diventeranno sempre più importanti.

Se la decisione di studiare lo strumento è stata presa dalla mamma o dal papà, l’allievo non avrà nessun interesse a studiare perdendo così la motivazione che lo stimola.

Assegnare gli obiettivi adatti allo studente

Anche gli obiettivi assegnati dal docente influenzano largamente la motivazione dell’allievo. Lo studente si sentirà soddisfatto se riconoscerà di aver raggiunto dei risultati. Allora sarà orgoglioso del suo operato.

Questo è importantissimo, assegnare brani troppo difficili può essere molto spronante per alcuni studenti, ma anche molto rischioso per altri. Infatti se non saranno in grado di fare ciò gliè stato chiesto dal maestro si sentiranno incapaci. Crederanno di non essere all’altezza. Questo è letale. 

Quindi cerchiamo di trovare sempre un equilibrio, caso per caso, tra l’ambizione dell’obiettivo e la certezza che lo studente possa raggiungerlo.

Cos’è lo “specifico artistico”?

Il didatta russo, con la suddetta espressione, intende:

“la musica stessa, viva materia sonora, discorso musicale con le sue regole e i suoi elementi, chiamati melodia, armonia, polifonia, ed altro, che hanno una determinata struttura formale, un contenuto emozionale e poetico”.

Lo specifico artistico” và trasmesso subito all’allievo, non si può aspettare che arrivi al terzo o quarto anno di pianoforte (avrà già cambiato strumento o avrà già smesso di suonare del tutto). Lo studente merita di sapere sin da subito tutto ciò che concerne un’esecuzione, anche se ancora è solo un bambino.

Concretamente voglio dire che è utilissimo esigere dall’allievo un’esecuzione espressiva. Cioè, se il brano ha un carattere triste và suonato con tristezza; se il brano ha un carattere vigoroso, allora và eseguito con vigore; se il brano ha un carattere trionfale, và suonato trionfalmente.

Questa è l’essenza della didattica pianistica. Le note, il tempo, il ritmo, la diteggiatura e tutto i rimanenti aspetti tecnici passano in secondo piano. La musica e l’espressività devono essere il punto di arrivo dell’allievo, anche se piccolo. Il resto verrà da sé, ovviamente con la corretta metodologia applicata dal docente.

Ti consiglio di leggere i seguenti articoli sulla didattica dell’interpretazione: Come fare ad emozionare il pubblico quando suoni?, 3 Domande & Risposte sul fraseggio.

Agli studenti più giovani, si consiglia vivamente di assegnare un repertorio tradizionale, folcloristico o contenente una melodia già familiare al bambino. Lo studio del materiale prettamente didattico potrebbe distogliere l’interesse dell’allievo. Infatti a volte si presenta in maniera fin troppo tecnica e poco entusiasmante (ad esempio, note bianche e nere, pause, staccati, legati, e così via).

Oltre alle melodie tradizionali si può fare uso anche di alcune semplici melodie tratte dalle opere di Haydn, Mozart, Weber, Glinka e dagli straordinari capolavori didattici di Schumann e Cajkovskij, per allievi un po’ più adulti.

Inoltre, sul repertorio tradizionale o su una melodia molto orecchiabile, consiglio vivamente di fare uso dell’immaginazione. Quest’ultima, per esperienza personale, dà letteralmente vita ad una composizione. Un contenuto immaginario, di qualunque natura esso sia (fantastico o reale, un’esperienza vissuta o desiderata, un’emozione o un sentimento, anche solo un colore) ha il potere di stravolgere l’esecuzione di un brano anche semplicissimo, rendendolo molto espressivo.

Ritornando alla domanda originaria di questo articolo, ritengo che questi piccoli e semplici consigli possano aiutare il docente a trasmettere la passione ai propri allievi.

Inoltre, sono quasi certo che una didattica basata sull’espressività e sull’immaginazione possa stimolare positivamente la motivazione intrinseca dell’allievo, soprattutto se molto giovane.

 

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:
Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

PS. Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

Come effettuare una onorevole lezione di pianoforte?

Da dove iniziare? A cosa dare la priorità? Come relazionarci con i nostri allievi?

Quanto vale per noi pianisti e studenti alla ricerca della perfezione musicale venire a sapere cosa Chopin a suo tempo ha trasmesso ai suoi allievi? Quanto prezioso potrebbe essere ricevere una testimonianza da chi lo ha sentito suonare anche solo una volta?

Per questo motivo ritengo utilissimo condividere con voi una lettura in cui mi sono imbattuto.

Raoul Koczalski (1885-1948) fu un pianista e didatta polacco, ma principalmente fu un bambino prodigio. Si esibiva regolarmente in pubblico dall’età di quattro anni e il suo talento straordinariamente oggettivo gli permise di comporre un’opera già a cinque anni.

Tra i grandi allievi di Chopin, Koczalski appare incontestabilmente quello che ha trasmesso la tradizione del compositore polacco nella maniera più limpida. A questo proposito vi propongo la testimonianza inedita del musicologo Louis Aguettant dopo un concerto di Koczalski adolescente:

“Evidentemente possiede una tradizione di prim’ordine.

In due parole, mentre quasi tutti i virtuosi, compreso Paderewski, suonano Chopin come se fosse Liszt, […] lui lascia a questa musica il suo fascino vaporoso di un giardino al crepuscolo e trasforma tutto, compresi gli studi, in un poema intimo.

E poi quella sonorità squisita, morbida nel suo continuo legato!” (lettera autografa del 16 marzo 1901, Biblioteca Municipale di Lione, fondo Luois Aguettant).

Visti l’indiscusso talento di Koczalski e la sua geniale capacità di ammaliare l’ascoltatore, vediamo cosa lui stesso racconta delle lezioni di pianoforte col vecchio e saggio docente Karol Mikuli, il quale si propose di fargli da maestro a Lwow per quattro estati consecutive dal 1892, quando il piccolo Raoul aveva solo sette anni.

Non era cosa da poco: ogni lezione durava due ore piene, questo quotidianamente e non avevo mai il permesso di lavorare da solo. […]

Strettamente basato sul metodo di Chopin, il suo insegnamento era così rivoluzionario che ancora oggi suscita tutta la mia ammirazione.

Le sue analisi mi aprivano gli occhi e mi rendevano capace di non dissociare la tecnica dal lavoro mentale. Niente veniva trascurato: la postura, la diteggiatura, l’uso del pedale, il suono legato, staccato e portato, i passaggi d’ottave, le fioriture, la struttura della frase, la sonorità cantabile di una linea melodica, i contrasti dinamici, il ritmo. […]

Quindi, niente sotterfugi, niente rubato a buon mercato, niente languori o contorsioni inutili”.

Cari lettori, io non aggiungerei null’altro a queste fantastiche testimonianze. Resta ad ognuno di noi la libertà di trarne vantaggio. Ci è stato chiaramente svelato come suonare e come fare lezione ai nostri pupilli. Ritengo che siano delle lezioni non solo legate alla didattica e alla performance pianistica, ma toccano profondamente la nostra mentalità e il nostro approccio con il quale affrontiamo lo studio.

 

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Koczalski, R. (1998). Frédéric Chopin. Conseils d’interpretation. A cura di Jean-Jeacques Eigeldinger. Paris: Buchet/Chastel

Koczalski, R. (1909). Frédéric Chopin. Vier Klaviervortrage. Leipzig: Pabst

 

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.