Nella categoria Ritmo potrai trovare tutti gli articoli che parlano non solo di ritmo, ma anche di tempo, metronomo, fraseggio, varianti ritmiche, dubbi sugli attacchi.

E’ un argomento che spesso viene posto in secondo piano, tuttavia il ritmo è lo scheletro di una composizione, rappresenta le fondamenta di una costruzione.

Attraverso la chiarezza ritmica possiamo essere in grado di risolvere la maggior parte delle nostra imprecisioni tecniche.

Tranquilli! Non è come pensate! Il titolo può spaventare ma lo scopo di questo articolo è quello di offrirvi un valore aggiunto su come studiare al pianoforte.

Studiare al pianoforte lentamente è sempre stato utile e sempre lo sarà.

In queste righe vorrei solamente mettervi in guardia su alcune abitudini, purtroppo piuttosto accomodanti, le quali non portano ai risultati aspettati.

(Se vuoi approfondire le tecniche di studio che precedono un’esecuzione pubblica ti consiglio di leggere l’articolo GUIDA DEFINITIVA su come affrontare l’ansia da palcoscenico e la memoria musicale)

Molti tecnologi e molti didatti danno per scontato che, davanti ad un passaggio difficile, i movimenti iniziali debbano comunque compiersi molto lentamente.

In effetti, nell’affrontare una qualsiasi difficoltà motoria, il nostro istinto è quello di muoverci con prudenza e circospezione.

Ciò avviene anche al pianoforte.

Il pianista che magari davanti ad un nuovo passo di ardua esecuzione si riscopre un tantino “principiante”, rallentando quanto basta la velocità dei suoi movimenti dovrebbe trovare la strada maestra per decifrare a dovere il passaggio tecnico e risolverlo correttamente.

Allo scopo di intraprendere una buona lettura del nuovo brano, Brugnoli consiglia:

“Perchè l’allenamento sia utile è necessario che sia fatto con la massima lentezza dei movimenti […] L’allenamento fatto con lentezza, non solo concorre a dare all’esecutore la tranquillità derivante dalla sicurezza di sapere ciò che vuole, ma gli permette di sfruttare, a vantaggio dell’allenamento stesso, quel sicuro dominio di sé da cui deriverà poi un più efficace impiego dei mezzi ricercati”. 

Della stessa opinione è Sandor, secondo il quale questo è addirittura il solo modo corretto di studiare al pianoforte:

Suonare lentamente è molto utile; ci permette di eseguire l’esatto movimento in tutti i suoi dettagli, senza sforzo e con assoluta accuratezza”.

Fantastico! Siamo tutti d’accordo! Ma allora a cosa dobbiamo fare attenzione? Dove risiede l’inganno?

Perchè studiare al pianoforte lentamente può essere controproducente?

Vado subito al punto!

Molti pianisti si cullano del fatto che studiando lentamente risolveranno tutti i loro ostacoli tecnici.

Alcuni addirittura credono che eseguire un brano ripetute volte, a metronomo e lentamente possa poi miracolosamente far svanire tutti i difettini tecnici.

Ciò non è assolutamente vero, o almeno non in questi termini.

Come detto poco fa, è utilissimo lo studio lento… ma a cosa? 

Ci siamo chiesti a cosa si riferiscono Brugnoli e Sandor? Soprattutto in questo caso lo studio deve essere mirato e deve puntare ad un obiettivo ben preciso.

Purtroppo non basta accendere il metronomo e suonare da capo a fondo un brano lentamente e sperare di riuscire ad eseguirlo correttamente a velocità, in poco tempo!

Infatti, nella citazione riportata di sopra, Sandor continuava ammonendo gli studiosi:

Il suonare lentamente non è un fine, ma è il mezzo che ci permette di eseguire i movimenti richiesti con un sufficiente grado di coscienza e di controllo. Di conseguenza, nel momento in cui un determinato passaggio viene eseguito con facilità, sotto un perfetto controllo, e non ha bisogno di rallentamenti di ritmo, possiamo anche accelerarlo!

Ad ogni gruppo di note, a ogni nota, dobbiamo dedicare il tempo che essi richiedono; ma non è necessario continuare a ripeterlo in tempo lento e regolare solo perchè lo abbiamo cominciato lentamente; sarebbe una pura e semplice perdita di tempo.

Diciamo pure, che lo studio deve avvenire al tempo più veloce possibile compatibilmente con il perfetto controllo dei movimenti richiesti”. 

Quanto è chiaro ed attuale Sandor in ciò che dice.

Quanto ci ammonisce rispecchia assolutamente le cattive abitudini di molti studenti. Ci siamo passati tutti.

Allora è il momento di abbandonare questa cattiva abitudine e studiare al pianoforte nel modo migliore.

Cosa vuol dire questo? Vuol dire di puntare ad un obiettivo preciso.

Il nostro studio deve avere degli obiettivi che sono la conseguenza dei nostri ostacoli. Quest’ultimi devono essere chiari.

Dobbiamo poterli individuare, chiamarli per nome e affrontarli estraendoli dal loro contesto.

Come si fa?

Dalla teoria alla pratica: due fasi di studio lento

Come appena detto studiare al pianoforte lentamente è di grande utilità ma per essere produttivo è necessario che venga sfruttato nel modo giusto e con cognizione di causa.

Prima di tutto dobbiamo trovare l’ostacolo, cioè essere consapevoli di ciò che rende ardua l’esecuzione. 

Poi dobbiamo focalizzare tutta la nostra attenzione su quell’ostacolo esatto, e non sul resto. 

Come esempio di applicazione pratica di quanto detto in teoria nel paragrafo precedente, ho pensato alle prime righe della sonata di Beethoven op. 14 n. 1 in Mi maggiore.

Vediamo quindi come possiamo affrontare lo studio di un passaggio tecnico che rispetto al resto dell’esposizione della sonata richiede maggiore attenzione.

Prima fase di studio lento

Immagine 1

Ipotizzando che le battute 5 e 6 racchiuse nel riquadro rosso possano costituire, alla prima lettura, una difficoltà tecnica per il pianista, sarebbe ragionevole pensare di studiare le prime righe lentamente.

Ad esempio, potremmo inizialmente fissare una velocità di metronomo di circa 52 al quarto. A questa velocità le quartine di sedicesimi potranno essere studiate con calma e con il massimo controllo.

Se però allarghiamo lo sguardo, noteremo che, sempre per fare un esempio, poco dopo a battuta 22 inizia una melodia che si sviluppa per quarti.

Immagine 2

Se pensiamo di dover eseguire l’intera esposizione della sonata al tempo stabilito di 52 al quarto, noteremo che le semiminime delle battute 23-29 risulterebbe talmente lente da farci quasi addormentare. 

Sulla base di quanto letto di sopra, sarebbe molto più ragionevole estrarre le battute 5 e 6 dal loro contesto musicale e studiarle separatamente e lentamente. Questo procedimento viene approfondito dettagliatamente negli articoli Come studiare i passaggi difficili?Come studiare i passaggi difficili con le “cadute” che ti consiglio di andare a leggere.

Seconda fase di studio lento

Solo dopo aver risolto il passaggio tecnico alle battute 5 e 6 si può pensare di studiare lentamente l’intera esposizione della sonata, poichè non presenta altri passi ardui.

Il resto dell’esposizione è infatti piuttosto semplice e leggibile in poco tempo, quindi con la giusta attenzione si potrebbe fissare un metronomo alla velocità, per esempio, di circa 72 al quarto.

Questa velocità permetterebbe al pianista di fare attenzione a tutti i segni e le indicazioni scritti da Beethoven (note legate, staccate, portate, dinamiche, eccetera) potendo fare attenzione a tutto il resto (ritmo, fraseggio, balance, direzione, gestualità, eccetera).

Tutto ciò deve essere effettuato con il massimo controllo e ripetuto fino a che non lo si esegue con la massima comodità e sicurezza.

Una volta raggiunta questa condizione, allora sarà consigliabile accelerare gradualmente tenendosi sempre vicini al tempo più veloce possibile compatibilmente con il massimo controllo.

 

Nicolò De Maria

Bibliografia:

Gardi, N. (2008). Il biano e il nero. Varese: Zecchini Editore.

Sandor, G. (1984). Come si suona il pianoforte. Milano: Rizzoli Editore.

Brugnoli, A. (1926). La dinamica pianistica. Milano: Ricordi.

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

Nell’articolo E se sbaglio nota? Cosa percepisce il pubblico? si è parlato di ciò che l’orecchio di un ascoltatore in sala riesce a percepire.

Si è detto che non serve preoccuparsi eccessivamente di una nota falsa o di una sporcatura inserite in un passaggio tecnico eseguito velocemente poichè, per alcune ragioni fisiologiche dell’orecchio umano, gli ascoltatori non le percepirebbero.

Vorrei brevemente approfondire questo aspetto e dire per quali ragioni chi ci ascolta dalla sala non percepisce le note sbagliate se suonate molto velocemente.

C’è una buona notizia?

Se prendiamo in considerazione una scala molto veloce (principalmente nelle scale si raggiungono velocità elevate) ci troveremo a dover affrontare lo studio del passaggio del pollice il quale, mentre fino ad una certa velocità non è poi quello spauracchio che si vocifera, ad un tempo molto elevato diventa un vero e proprio ostacolo.

Cosa fare allora? Se ci pensiamo, il passaggio del pollice non presente reali difficoltà a velocità medie,  e quando comincia a presentarne… diventa in realtà superfluo! 

Alcuni pianisti, sono in grado di eseguire dei passaggi velocissimi mantenendo un passaggio del pollice pulitissimo e senza alcuna irregolarità ritmica, molti altri invece devono ricorrere a stratagemmi con diteggiature poco accademiche.

Cosa succede oltre la velocità di circa 152 al quarto?

Si prenda bene in considerazione che all’incirca dalla velocità di 152 al quarto, con quartine di sedicesimi, e di circa a 100 al quarto con sestine, anche in un’esecuzione senza l’uso del pedale di risonanza, l’ascoltatore non percepirà nessun “vuoto” se invece del passaggio del pollice il pianista effettuerà lo spostamento di posizione con un rapido movimento dell’avambraccio che porterà il pollice direttamente sul tasto voluto. 

Una diteggiatura di Liszt, nella Rapsodia Spagnola, ci spiega benissimo come si può omettere il passaggio del pollice:

In merito alle indicazioni metronomiche di 100 e 152 al quarto citate di sopra, sono stati effettuati degli esperimenti empirici sul tempo minimo di eccitazione del nervo acustico che hanno dimostrato che l’orecchio umano non riesce a percepire e decifrare un suono se inserito in una serie di suoni al di sotto di un decimo di secondo l’uno.

Alla velocità di circa seicento suoni al minuto l’ascoltatore non è in grado di sentire “vuoti” tra un suono e l’altro, così come lo spettatore vede un movimento continuo quando i fotogramma della pellicola cinematografica scorrono ad un frequenza di diciotto immagini al secondo.

Ciò vale sia per le scale che per gli arpeggi o per altri tipi di passaggi tecnici.

Attenzione!

Tutto questo non vuol dire che dobbiamo smettere di ricercare la precisione! E’ dal giudizio del pubblico che dobbiamo pian piano distaccarci.

Il nostro modello è la partitura, il nostro capo è il compositore. E’ ciò che è scritto che dobbiamo venerare e rispettare. Per quanto riguarda il pubblico: dobbiamo commuoverlo e trasmettergli i nostri sentimenti. Il resto conta poco.

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Rattalino, P. (2007). Manuale tecnico del pianista concertista. Varese: Zecchini Editore.

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

E’ molto diffusa tra gli insegnanti l’opinione che possa essere utile studiare un passaggio ritmicamente regolare e uniforme, a valori modificati e con diverse varianti ritmiche.

Per esempio, se un passaggio procede per semicrome regolari, molti consigliano di studiarlo con le seguenti varianti ritmiche:

Ritengo che questo esercizio possa essere utile nel lavoro sugli esercizi di tecnica pura e su quelli tratti dai punti difficili delle composizioni.

Il parere di Neuhaus

Secondo l’opinione di Heinrich Neuhaus, perché dovrebbe tornare utile studiare il quinto Preludio in Re maggiore dal primo volume del Clavicembalo ben temperato con le semicrome puntate, quando lo scopo principale è raggiungere possibilmente regolarità e uniformità?

Osservando esattamente la figurazione di ogni nota, punti e impedimenti ritmici darebbero solo fastidio.

Sarebbe, piuttosto, molto più vantaggioso eseguire molto lentamente le quartine ascoltando con la massima attenzione se le semicrome sono regolari ed eguali tra loro, ovviamente con il fraseggio corretto e chiaro.

Prendiamo il caso del Preludio in Sol minore del secondo volume del Clavicembalo ben temperato di Bach. Quale sarebbe l’utilità di studiarlo a valori regolari piuttosto che a valori puntati, come è scritto in originale?

Eseguirlo nel modo raffigurato qui sotto, secondo il parere di Neuhaus, non avrebbe alcun senso; anzi porterebbe ad un risultato opposto a quello voluto dal compositore.

 

Allo stesso modo, non si potrebbe immaginare nulla di meno opportuno che suonare il Preludio in Fa minore dal primo volume in questo modo:

 

Un consiglio che può valere nella maggior parte dei casi è quello di dirigersi, quando possibile, direttamente verso la meta. Ovvero, esercitarsi, prima molto lentamente e poi gradualmente più veloce, nel raggiungimento del risultato finale richiesto dall’autore.

Tuttavia, possono esserci delle eccezioni…

In alcuni casi, infatti, le varianti ritmiche possono avere un’utilità nascosta e che non riguarda il raggiungimento della massima regolarità nell’esecuzione, bensì la chiarezza ritmica.

Ritornando all’esempio del Preludio in Re maggiore di Bach, l’obiettivo è sia suonare tutte le quartine regolari, sia suonarle ritmicamente chiare: cioè “sillabando” le quattro note a “due a due”, con un piccolissimo ma percepibile appoggio sulla prima nota e sulla terza.

Studiando molto lentamente e ascoltandosi con orecchio attento e critico si può raggiungere questo obiettivo senza le varianti ritmiche, tuttavia, nel caso di allievi più giovani e poco maturi artisticamente può essere plausibile ricorrere alle varianti ritmiche. 

Infatti, nel caso in cui il nostro allievo eseguisse le quartine in modo disordinato ritmicamente, senza sillabare con chiarezza, allora la variante ritmica mostrata qui sotto sulla sinistra può essere d’aiuto poichè obbligherebbe il pianista ad appoggiare la prima e la terza nota (in figura è rappresentata una sestina, ma nel caso del preludio di Bach si tratta di quartine).

Successivamente, in esecuzione, il ritmo risulterebbe più chiaro.

Questo è un parere personale basato sulla mia esperienza. Fatemi sapere cosa ne pensate.

 

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

Stabilire il tempo di attacco di una composizione è di primaria importanza. Tuttavia alcuni pianisti, a volte, non danno ad esso la sufficiente attenzione iniziando un’esecuzione con un tempo che poi deve immancabilmente assestarsi.

In alcuni casi, prendere il tempo di attacco in maniera indefinita o casuale può compromettere l’intera composizione. Altre volte, invece, il tempo può raddrizzarsi durante l’esecuzione.

In ogni caso, l’integrità totale del brano viene compromessa o addirittura persa.

In effetti, stabilire il tempo di attacco può essere molto complesso. Infatti, l’agitazione prima di iniziare un’esecuzione in pubblico in genere è molto alta.

Ma non solo, la ricerca del tempo migliore può essere ardua anche tra le quattro pareti della nostra stanzetta, seduti a tavolino e con un metronomo tra le mani.

Come stabilire il tempo di attacco di una composizione?

Andiamo a vedere tre consigli pratici, utili a stabilire il tempo di attacco di una composizione.

Indicazione n. 1

Il metronomo può tornarci d’aiuto durante la fase di studio ai fini della ricerca del tempo di attacco migliore.

E’ necessario fare diversi esperimenti con velocità differenti e provare ad eseguire vari punti del brano con il supporto del metronomo. In questo modo, dovremmo essere in grado di stabilire le opportunità incluse tra il tempo più lento possibile e il più veloce.

Dovremmo, quindi, comprendere quali devono essere i limiti del range metronomico al di sotto del quale e al di sopra del quale non dobbiamo andare.

Indicazione n. 2

Il secondo passo è conseguente al primo.

Prima dell’inizio dell’esecuzione occorre paragonare mentalmente il tempo iniziale con qualche punto nello sviluppo della composizione.

E’ veramente necessario questo passaggio, poiché spesso il tempo non può essere lo stesso, ma deve naturalmente assestarsi e adattarsi al carattere di ogni sezione.

E’ bene, quindi, essere consapevoli di queste variazioni di tempo.

Indicazione n. 3

L’ultimo consiglio pratico permette di calarsi nel contesto artistico del brano.

Infatti, può risultare veramente utile, prima dell’inizio di un’esecuzione, cantare nella mente le prime battute o la prima frase. Il canto in genere è naturale e musicale, tradisce raramente.

Ci può essere d’aiuto, perciò, nel trovare il tempo d’attacco migliore e ad entrare nel giusto ambiente ritmico ed interpretativo.

Mettendo in atto questi tre consigli, casualità e approssimazione vengono radicalmente limitate.

Purtroppo, è inutile nascondere che a volte la ragione principale di questa incertezza di tempo sta, per dirla in parole povere, nell’insufficiente senso artistico dell’esecutore, nella sua insufficiente sensibilità al clima, all’idea, al contenuto emotivo della musica.

Ecco qual’era la strategia didattica di Neuhaus in questi casi:

“[…] intervenire sulle qualità spirituali dell’allievo, sollecitare la sua immaginazione, la sua sensibilità, obbligarlo a sentire, pensare e a soffrire l’arte come il più reale […]”

 

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

 Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

“Nel CRESCENDO il suono incombe, si avvicina, cresce; nel DIMINUENDO il suono si allontana, diminuisce, cala”

THAT’S IT! Heinrich Neuhaus è molto chiaro in merito all’effetto che un pianista deve creare quando esegue delle variazioni dinamiche al pianoforte come il CRESCENDO e il DIMINUENDO.

Come eseguire le variazioni dinamiche al pianoforte?

Quante volte ci è capitato di ascoltatore un nostro allievo accelerare durante un CRESCENDO e/o rallentare durante un DIMINUENDO? Purtroppo ciò non può essere ammesso.

Ci possono essere casi in cui un ritenuto o un rubato si sommano ad un CRESCENDO eviceversa, casi in cui insieme ad un DIMINUENDO è richiesto un ulteriore cambiamento ritmico.

Le combinazioni possono essere molte, ma solo se sono espresse chiaramente dal compositore.

In caso contrario aggiungere effetti arbitrariamente, senza che sono richiesti dall’autore, porta ad un’esecuzione confusa, poiché troppo densa di variazioni dinamiche e ritmiche, o eseguite nel momento scorretto o inserite casualmente in base all’emozione. Ciò è ovviamente da evitare. 

Le variazioni dinamiche e ritmiche al pianoforte  sono sottoposte a determinate convenzioni, ben note ai buoni direttori d’orchestra e spesso ignorate dagli allievi.

Condizione n. 1

Innanzitutto sarebbe opportuno che il maestro facesse attenzione a dove esattamente il proprio allievo inizia un CRESCENDO, un DIMINUENDO, un RALLENTANDO o un ACCELERANDO.

Questa è la prima domanda che ogni pianista dovrebbe farsi quando studia una delle suddette variazioni, evitando quindi di lasciare al caso il loro sviluppo.

Condizione n. 2

Ma non solo. Neuhaus insegna che la convenzione del buon gusto musicale, in genere, vuole che tali effetti non vengano iniziati esattamente in corrispondenza dell’inizio di una frase (o di una battuta), ma sempre poco più tardi e possibilmente sui tempi deboli. 

La non osservanza di questa piccola regola trasformerebbe un ACCELERANDO in un improvviso più mosso e un RALLENTANDO in un meno mosso. 

Ovvero, l’ipotetica indicazione di poco a poco accelerando verrebbe erroneamente intesa ed eseguita come se fosse un subito più mosso. 

Condizione n. 3

Infine, ritengo utile ricordare che nel 100% dei casi in cui vengono richieste variazioni ritmiche o dinamiche è necessario che queste vengano eseguite GRADUALMENTE, con grande controllo ed evitando il più possibile bruschi cambiamenti di tempo e/o dinamici.

Un trucchetto per un’efficace variazione di tempo, ad esempio un RALLENTANDO, può essere quello di contare in mente e, quindi, gradualmente dilatare le piccole suddivisioni che compongono la sezione o la battuta da rallentare.

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

 

Cosa vuol dire suonare a tempo? Certamente non si tratta di saper andare a metronomo.

Suonare a tempo è qualcosa di strettamente legato all’ “armonia ritmica”.

Heinrich Neuhaus, nel suo libro l’“Arte del Pianoforte” ci parla di armonia ritmica. Cos’è? Di cosa si tratta? A cosa serve e perché può essere importante trasmetterla ai nostri allievi?

Vi è mai capitato di muovere a tempo le vostre mani, di dirigere nel vostro piccolo l’esecuzione di un altro pianista sul palco? O vi è mai capitato di sentire la necessità di respirare insieme all’esecutore, come se foste voi ad eseguire quel brano che state solo ascoltando in mezzo al pubblico.

Ecco, se vi è capitato è molto probabile che il pianista che stavate ascoltando aveva un grande senso dell’armonia ritmica. Era capace di suonare a tempo!

Quando riesci a trasmettere al pubblico in maniera cosí incisiva e chiara il ritmo che percepisci dentro di te, la tua esecuzione è armonicamente ritmica. Dico “armonicamente” perchè ritmo non vuol dire andare a metronomo, ma saper organizzare il tempo in maniera naturale.

Quindi, durante un’esecuzione, per fare qualche esempio, un pianista può concedersi all’incirca duo o tre licenze ritmiche, molto più efficaci di 100 licenze, anche se musicali.

Se la nostra esecuzione è piena di rallentandi e accelerandi, l’ascoltatore non li capterà più come un effetto di speciale rilevanza. Al contrario, permettersi duo o tre licenze ritmiche in punti strategici avrà senza dubbio un impatto molto più potente sul pubblico.

In questo modo ci sentiremo più sicuri e consapevoli di ciò che stiamo eseguendo, liberi di poterci esprimere. Come definisce Neuhaus la libertà?

“Severità, coerenza, disciplina, armonia, sicurezza, autorità; tutto questo è libertà!

 

Come insegnare tutto questo ai nostri pupilli?

Primo step

Molto semplicemente Neuhaus ci consiglia di battere il tempo ai nostri allievi mentre eseguono.

Ovvero di seguirli durante l’esecuzione come se stessimo suonando noi al loro posto. Specialmente durante rallentandi, accelerandi e rubatoChe si faccia molta attenzione ai nostri gesti poiché comunicano ai nostri allievi molte più informazioni di mille parole. I nostri gesti devono essere fluidi, armonici e naturali.

Siate dei direttori d’orchestra. Accompagnateli durante l’esecuzione come se foste voi a suonare!

Secondo step 

Come detto in un altro articolo (Tre consigli pratici sullo studio individuale), proponiamo ai nostri studenti di mettere lo spartito sul leggio, chiudere il coperchio della tastiera e dirigere il pezzo da capo a fondo immaginando che un altro pianista stia eseguendo esattamente ciò che loro indicano con i gesti delle braccia.

Questo sarà utilissimo agli studenti che non sono abituati a concentrarsi sul ritmo, probabilmente perché troppo focalizzati sulle note.

In quel contesto, sarà più semplice per loro individuare quegli unici due o tre punti cruciali dove decideranno di concerdersi una licenza interpretativa.

Tutto il resto è disciplina e coerenza ritmica.

 

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

 

PS. Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

In questo articolo parlerò di un aspetto del ritmo che molti avranno già affrontato in maniera approfondita: il rubato.

Ma prima è strettamente necessario accennare alla natura del ritmo visto come un organismo vivente.

Il ritmo è tutt’altro che paragonabile al ticchettio di un orologio o all’oscillare di un pendolo (o a maggior ragione al metronomo) perché non hanno nulla di vivo, sono macchine e sono state programmate per scandire una determinata unità di misura nel tempo.

Il ritmo invece è paragonabile alla nostra pulsazione cardiaca, al respiro, alle onde del mare, all’ondeggiare di un campo di grano.

Insomma il ritmo è una rappresentazione in musica di ciò che è naturale. La natura ha delle oscillazioni, delle variazioni dovute a ciò che la compone e la circonda. Il battito cardiaco dell’uomo, ad esempio, non è mai uguale, anzi oscilla in base alle emozioni, accelera o rallenta in base alle circostanze esterne.

Allo stesso modo avviene per la musica, che è la rappresentazione per mezzo di suoni dei sentimenti dell’artista. E se un artista è vivo, se ha un’anima che vuole essere raccontata, considererà il ritmo come organismo vivente che non può essere confuso con la pulsazione meccanica dell’unità metrica.

(Se vuoi approfondire questo articolare e provare ad essere più “artista” leggi l’articolo Come emozionare il pubblico?).

Al contrario, un’esecuzione priva di vita è noiosa. Un’esecuzione durante la quale l’artista si concentra solo sul tempo metronomico diventa tediosa per il pubblico. Per un semplice motivo: è un’esecuzione senza vita.

Andiamo al cuore di questo articolo, il rubato.

Come appena detto per il ritmo in generale, anche il rubato è la rappresentazione in musica di un’emozione. In questo caso quest’ultima cresce e si fa sempre più intensa (se si vuole realizzare un rubato il metronomo và inevitabilmente spento).

Vediamo come Heinrich Neuhaus insegnava ai suoi studenti ad eseguire quest’effetto:

“rubare vuol dire che se ruberete del tempo e non lo restituite in fretta, sarete un ladro; se inizialmente accelerate, in seguito dovete rallentare; allora rimarrete una persona onesta e in grado di stabilire l’equilibrio e l’armonia”.

In caso contrario l’esecuzione sarebbe priva di perno ritmico e il discorso musicale ne verrebbe mutilato. Verrebbero a mancare l’equilibrio e l’armonia.

Il ritmo, infatti, và inteso come movimento armonico e naturale, che lascia spazio alle oscillazioni dovute alle emozioni.  Quest’ultime ovviamente non devono stravolgere il tempo del brano altrimenti sarebbe il caos.

In sintesi quando ci troviamo davanti ad un rubato, prima di tutto dobbiamo viverlo, ovvero dobbiamo sentire dentro di noi un’emozione che cresce e si fa più intensa, ciò darà vita ad un naturale accelerando che poi però deve essere restituito al tempo.

Dopo la tensione c’è sempre una distensione e dopo un accelerando non può che non esserci un relativo rallentando che compensa l’effetto precedente e che conferisce equilibrio e armonia all’esecuzione.

 

 

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Neuhaus, H. (1992). L’arte del pianoforte. Milano: Rusconi.

 

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.

Come fraseggiare al pianoforte?

Cos’è il fraseggio?  Dove nasce e finisce una frase? Come riconoscere un punto culminante?

Saper fraseggiare è veramente un’arte. Non c’è nulla di scontato e solo l’esperienza e il buon gusto potranno aiutarci a comprenderne a fondo il “know how”.

L’artista sa che la frase musicale ha un’anima e questa diventa tale nel momento in cui riesce nell’obiettivo di darle vita. In caso contrario le note resterebbero una mera accozzaglia di macchie nere sparse tra linee orizzontali.

In questo possiamo farci aiutare dal celebre pianista e didatta polacco Josef Hofmann il quale, nel suo libro “Piano Playing with Questions Answered” risponde a moltissime domande rivoltegli dai suoi allievi durante le lezioni.

Vediamo allora come Hofmann può esserci di aiuto e iniziamo con le 3 Q&A sul fraseggio.

  1. Come Hofmann definisce il fraseggio? E che tipo di consigli pratici può dare ai pianisti su come fraseggiare?

Hofmann ritiene che il fraseggio sia, in primo luogo, una razionale divisione e suddivisione delle frasi musicali, e serve a rendere il discorso musicale intellegibile. Corrisponde alla punteggiatura nella letteratura e nella recitazione.

Ciò che più importa sapere è che il fraseggio serve a rendere intellegibile, comprensibile il discorso musicale. Comprensibile a chi? Ovviamente a chi ci ascolta! E come fa ad essere chiaro a chi ci ascolta se non lo è a chi esegue il brano?

Hofmann propone di iniziare la ricerca in merito alla comprensione di una frase cercandone l’inizio, la fine e il punto culminante.

Quest’ultimo in genere si trova sulla nota più alta della frase, o approssimativamente al centro della frase: sarà il vostro orecchio a darvi la certezza di dove si trova il punto culminante. L’inizio e la fine di una frase in genere si riconoscono grazie ad una legatura che spesso abbraccia l’intera frase.

Quindi una frase nasce, cresce, raggiunge un punto culminante, decresce e muore. Questa struttura la troviamo quasi in tutte le frasi musicali e dovrebbe essere molto chiara sia a chi suona che a chi ascolta.

Ciò che è richiesto all’artista è di dar vita alla frase e di assecondarne l’andamento. Infatti, quando ci dirigiamo verso un punto culminante la tensione aumenta, cresce fino ad arrivare al punto massimo dove esplode, per poi risolvere decrescendo e scemando gradualmente.

Purtroppo è molto più facile a dirsi che a farsi. Infatti raggiungere il punto culminante non vuol dire soltanto crescere dinamicamente come molti credono (anzi spesso risulta scorretto). Esprimere la direzione verso il climax richiede che l’esecutare abbia compreso il senso del brano e in quel caso della singola frase.

L’artista deve sentire che la tensione della musica cresce anche dentro di sè.

Il risultato deve essere autentico, naturale ed esprimere il mood della composizione. Ci può aiutare il nostro orecchio e la nostra sensibilità di artista.

  1. Come eseguire un rubato mantenendo integro il fraseggio della frase musicale?

In breve, Hofmann dice di restituire ciò che è stato rubato. Credo che in queste parole sia racchiuso il senso di questa variazione temporanea di tempo.

Puoi approfondire questo aspetto specifico leggendo l’articolo Se “rubi” devi restituire.

Concretamente, l’esecutore restringe la durata dei singoli suoni quando esegue un rubato. L’effetto finale è simile a quello creato da un accelerando graduale, ma molto più naturale e legato alla tensione e all’emozione.

Infatti, l’esecuzione del rubato non può essere matematica. Hofmann dice  che l’esecutore deve “ondeggiare” entro certi limiti.

Una volta effettuato, è il momento di “restituire” ciò che è stato rubato. Quindi, così come abbiamo ristretto il tempo, lo “ri-dilatiamo” per portarlo al suo stato originale. Tanto quanto abbiamo rubato, dobbiamo restituirlo.

Il tutto nella maniera più naturale possibile. Un poco come un elastico che gradualmente si allunga e gradualmente torna al suo stato originale.

Hofmann consiglia di sentirsi molto liberi nell’esecuzione di un rubato e di non studiarlo matematicamente, di lasciarsi prendere dall’emozione del momento dell’esecuzione. Altrimenti perderebbe il senso fondamentale per il quale è stato creato ed inserito in quel determinato punto.

Deve essere una proiezione dei nostri sentimenti: è talmente tanta la tensione e l’emozione che, in quell’istante, l’artista necessita di uscire dallo scandire esatto del tempo ed esprimere al massimo ciò che sente servendosi del rubato.

3. Sollevare la mano quando chiude un frase o durante una pausa?

Hofmann dice :”Never!”. Mai sollevare la mano con l’articolazione di polso per eseguire una pausa. Questo tipo di movimento va utilizzato per l’esecuzione di ottave o doppie note dove è segnato dall’autore uno staccato.

Il modo regolare per chiudere una frase è di sollevare il braccio con il polso rilassatissimo, la mano risulterà naturalmente appesa al polso.

Questo movimento va applicato tutte le volte che una frase si conclude. La mano non si solleva autonomamente dal polso, ma è il braccio che la tira su.

Quest’ultimo movimento ha un doppio vantaggio: il primo è quello di concludere la frase naturalmente; il secondo è quello di rilassare il braccio e la mano.

Il risultato finale di questo movimento sarà come una danza della mano e dell’avambraccio che asseconderà il fraseggio e renderà più autentica l’esecuzione del brano.     

 

Nicolò De Maria

 

Bibliografia:

Hofmann, J. (1976). Piano Playing with Piano Questions Answered. New York: Dover Publications.

Spero che questo articolo vi sia tornato utile. E’ il frutto dei miei modesti studi e di alcune letture personali. Non è richiesto di essere d’accordo con l’intero contenuto dell’articolo. Bensì, si accettano critiche e commenti costruttivi.